Alla fine del 1926 la Route 66 era nata, almeno come denominazione, adesso bisognava farla conoscere ai potenziali viaggiatori.
Non era stata costruita dal nulla bensi’ aveva praticamente collegato i tratti stradali gia’ esistenti negli otto stati che l’avevano promossa ma almeno per il 40 % non era ancora pavimentata alla fine degli anni ’30. Pero’ la Commissione costituente, fortemente voluta e presieduta da Cyrus Avery un ricco possidente dell’Oklahoma, non poteva ritenersi soddisfatta. La strada c’era, adesso bisognava darle la vita promuovendone l’uso e magnificandone la comodita’ e la bellezza dei luoghi che attraversava.
Con spirito tutto americano venne insediato un Direttore Commerciale, Lon Scott, esperto di marketing in beni di largo consumo, insomma la Route 66 venne concepita e gestita come un “prodotto” da vendere a quanti piu’ acquirenti possibile. Lon si lancio’ in una campagna pubblicitaria su tutti i maggiori giornali con grande disponibilita’ di mezzi e l’intento di colpire l’immaginazione degli automobilisti che alla fine degli anni ’20 crescevano a ritmi sostenuti e rappresentavano la fetta della popolazione con disponibilita’ di denaro e voglia di spenderlo.
La stampa chiamo’ enfaticamente la strada “The main street of America”, la strada principale per gli americani, mentre procedeva a tappe forzate la pavimentazione del percorso tra Chicago a Los Angeles in modo da accogliere torme di viaggiatori che pero’ ancora tardavano ad arrivare.
Lon Scott lavoro’ instancabilmente per far conoscere la nuova strada ma ben presto si rese conto che ci voleva un’idea commerciale forte ed in grado di mobilitare intorno alla 66 i sentimenti profondi degli americani e nulla era piu’ potente di una sfida, magari impossibile, qualcosa che facesse rivivere a loro i tempi eroici della Frontiera. !
Cosi’ concepi’ una maratona lunga 3.422 miglia da Los Angeles a New York, la piu’ lunga mai percorsa nella storia dell’umanita’, una sfida contro l’impossibile e la chiamo’ la “Corsa”.
Scott e la Commissione interstatale fecero le cose in grande affidando l’organizzazione logistica e commerciale dell’evento alla “Cash and Carry” di Mr.Pyle specializzata nella promozione e vendita di beni di largo consumo in tutto il continente. Nulla fu lasciato al caso per promuovere l’evento sportivo e naturalmente ricavarne il massimo profitto. Per iscriversi bisognava versare $125, cifra considerevole all’epoca, ma a chi arrivava al traguardo venivano rimborsati $100 per le spese di ritorno a Los Angeles, indipendentemente dall’ordine di arrivo. Chi si ritirava, perdeva tutto. Una sfida nella sfida sportiva.
Pyle costrui’ intorno alla corsa una macchina commerciale potente al fine di ricavarne un profitto, tutti i paesi lungo la neonata Route 66 avrebbero dovuto pagare una tassa all’organizzazione altrimenti sarebbero stati ignorati dalla carovana. Imposto’ la produzione di scarpe, unguenti per i calli, lozioni solari e decine di gadget da vendere lungo il percorso con il marchio “The main street of America”.
I reporter inviati al seguito della maratona la ribattezzarono “Bunion Derby” o anche “Bunion Race” e con questi nomi passo’ alla storia mentre Pyle, per enfatizzare lo spirito della gara, dichiaro’ che vincerla avrebbe rappresentato indubbiamente “la piu’ fantastica impresa atletica della storia”. Gli americani non hanno mai avuto il senso della misura nelle iperboli.
Il 4 Marzo 1928, dopo aver pagato l’iscrizione, 275 maratoneti provenienti da tutto il mondo, si allinearono ai blocchi di partenza sul molo di Santa Monica. Ben 500.000 spettatori si accalcarono intorno a loro per non perdersi ” l’evento del secolo”, la maratona piu’ lunga del mondo sulla strada piu’ lunga mai asfaltata.
Alcuni dei concorrenti partivano a piedi nudi, altri sventolando la Bibbia, alcuni addirittura suonando l’ukulele. I pochi seri atleti avevano in mente una sola cosa, i $25.000 di premio per il vincitore, una cifra stratosferica a quei tempi che precedevano la drammatica crisi del ’29..
Nonostante seri problemi organizzativi nel deserto Mojave privo di villaggi e punti di rifornimento, i numerosi ritiri che gia’ al terzo giorno avevano dimezzato i partecipanti, il rifiuto da parte di molti paesi di pagare il contributo concordato e lo scarso pubblico che assisteva alla gara lungo la strada, il Bunion Race continuo’ la sua corsa verso est in aree scarsamente abitate e isolate dal West.
La maratona continuo’ nonstante il caldo dei deserti i e le improvvise piogge torrenziali sugli altopiani, diversi partecipanti furono costretti al ritiro per ferite o esaurimento fisico ed uno fu anche ucciso da una delle rare auto presenti sulla strada.
Una pittoresca carovana precedeva gli atleti e venne chiamata “Footrace Carnival”, essa si fermava nei paesi e mostrava a pagamento meraviglie incredibili ai contadini locali tra le quali la mummia di Elmer McCurdy, famoso legislatore dell’ Oklahoma, un maiale a cinque zampe ed un cane che parlava con le orecchie. Insomma un Circo Barnum prestato allo sport. Ma tutto faceva profitto.
Gia’ dall’attraversamento del Panhandle nel nord del Texas, Andrew Hartly Payne, un ventunenne Cherokee nativo di Foyil Oklahoma prese la testa della gara e venne subito celebrato dalla stampa come il simbolo vivente degli indomiti ideali americani. La sua giovinezza, forza, resistenza e spirito inarrestabile entusiasmarono tutto il continente facendone un eroe della strada e risollevarono non poco la popolarita’ della maratona che si era piuttosto appannata. Chi pero’ gli tenne testa sino a tre quarti del percorso fu Peter Gavuzzi, un inglese di origini italiane che sfortunatamente dovette arrendersi in Ohio per un banale mal di denti.
Quando Pyne, sempre in testa, raggiunse l’Oklahoma fu accolto dal Governatore con festeggiamenti degni di un eroe e lui con quel poco di fiato di cui ancora poteva disporre riusci’ ad urlare “Salve concittadini, sono felice di essere a casa. Ci vediamo a New York !” e senza fermarsi continuo la sua volata verso est. Quel giorno furono chiuse anche le scuole per dar modo a tutti di vedere il loro mito nazionale. Non si puo’ dire che Pyle non avesse fatto uno splendido lavoro promozionale.
Dopo 573 ore 4 minuti e 34 secondi alla media di 6 miglia all’ora, Payne taglio’ il traguardo come vincitore nel centro di New York dopo che l’organizzazione, senza alcuna pieta’, gli aveva anche fatto percorrere per cinque volte il perimetro del Madison Square Garden prima di chiudere ufficialmente la gara tra il delirio del pubblico. Pagante naturalmente.
Payne incasso’ il suo premio di $25.000, torno’ in Oklahoma dove riusci’ a riscattare l’ipoteca che gravava sulla fattoria dei genitori. Con il denaro rimasto si sposo’ e studio’ diventando negli ultimi anni di vita uno stimato giudice.
Oggi a Foyil, un sonnolento paesino lungo la Route 66 c’e’ un monumento che ricorda Andrew Hartley Payne e la sua storica vittoria nella maratona transcontinentale. Un’altra statua a lui dedicata si trova nel Cherokee Heritage Center, Tahlequah, OK
La lunga maratona contribuì sicuramente a far conoscere la Route 66 a tutto il paese ed a portarvi traffico ed attivita’ commerciali ma purtroppo per l’organizzazione non si rivelo’ un affare nonostante tutti gli sforzi e le energie profuse nell’impresa.
In ogni caso consacro’ la Route 66 nell’immaginario collettivo di tutto il continente.