Voglio riportare in evidenza
il gruppo dell’amico Mario Conti
al ritorno dal suo viaggio lungo la Route 66
e ricco di utili consigli pratici.
18-7-11, SANTA MONICA (California): HERE WE ARE
Raggiungere l’oceano al terminal della 66, fissato a furor di popolo sul molo (“pier”) di Santa Monica, significa attraversare tutta l’area metropolitana di Los Angeles, che inizia lì dove, alla buon’ora, finisce l’illimitato (pensate prima del motore a scoppio) monocorde deserto del Mojave. Attrezzatevi più per la traversata di L.A. che per quest’ultimo, per cui beninteso vi sarete garantiti un’auto in buono stato e acqua a bordo. Infatti la megalopoli è immensa, non reca indicazioni stradali di massima, tipo freccione per Santa Monica o semplicemente “mare”; nè naturalmente gli scudi della 66 che ormai ci sono diventati cari. Come già accaduto in altre città medio grandi, qui i tracciati della 66 si frammentano e si moltiplicano; ce n’è uno abbastanza lineare, che passa per Pasadena e aggira un po’, in senso antiorario, l’intera città; ma bisogna conoscerlo. Dunque carta della città e della 66 o, meglio ancora, un software satellitare specifico della Route.
Qui finiscono i miei post tappa per tappa. Affiorano alla mente, oltre a un robusto ma tenero bagaglio di ricordi, alcune considerazioni o note a margine che raccoglierò e vi passerò a breve.
Buon viaggio a chi è in procinto o ha in animo di andare: raccoglierà una varietà e un’intensità di esperienze che, tantopiù oggi, non sono da poco. Ha ragione Linus quando descrive il diagramma degli stati d’animo del viaggiatore-66, che culminano con un inaspettato struggimento quando si è tornati e si è dato tempo alla polvere di depositarsi. E già ci si chiede se si verrà giudicati con sospetto e apprensione dagli amici se, di qui a non molto, si annuncerà un ritorno da quelle parti, magari con un baricentro dell’itinerario che appaia nuovo ma ci dia la possibilità di qualche ripasso qua e là.
Alla prossima.
Mario Conti
17-7-11, OATMAN (Arizona): ADDIO AL VECCHIO WEST
OATMAN è nell’ultimo lembo di Arizona prima di varcare il confine con la California. Ma in realtà è oltre la cinta di montagne che separano i due stati e che vanno scavalcate; per cui è come se fosse già dall’altra parte.
Sembra un set western, semideserto di sera (gli abitanti ripiegano su più comode – si fa per dire – casette nascoste fra le alture circostanti), e molto movimentato durante il giorno, con un culmine a mezzogiorno, quando una compagnia piuttosto coreografica inscena un confronto alla High Noon tra più personaggi, che culmina in sparatoria tra il sollazzo del pubblico e il crepitio delle fotocamere. Qui vollero trascorrere la prima notte di nozze Clark Gable e Carole Lombard, all’apice del loro fulgore; quell’hotel oggi funziona solo di giorno, con la curiosa attrazione di essere tappezzato, “dovunque”, di biglietti da un dollaro con dedica.
Asini a piede libero passeggiano per ogni dove; si vendono carote ed altro da offrirgli. Empori di oggetti vari, abbigliamento e pellami, un paio di rigattieri con articoli interessanti e cimeli della 66.
Le bande di pistoleri sono sostituite da quelle di motociclisti, gran frequentatori della zona per via dei succosi tornanti in salita e discesa delle montagne di cui si diceva.
Non perdete questa tappa, prima di avventurarvi nel durissimo, interminabile, famigerato deserto del Mojave.
Mario Conti
16-7-11, LAS VEGAS (Nevada): ANTICA ROMA NEL DESERTO
Su LAS VEGAS si è detto tutto, si può provare di tutto. Io ho sperimentato una condizione di curioso sdoppiamento: la sera dell’arrivo, dopo il suggestivo miraggio del lago di luce all’emergere da una curva dopo tanto deserto, sono stato calato nell’incubo di un traffico fittissimo e implacabile, dove non puoi sostare da nessuna parte, le indicazioni stradali sono al minimo, tutto è in funzione delle limousine nere bianche o rosa e degli aggressivi suv dai vetri rigorosamente neri, al riparo dei loro servizi di valet dovunque approdino. Non azzardatevi (specie nel weekend) a voler pernottare senza aver prenotato, quindi senza certezza di una stanza e senza il vostro valletto che si occuperà di tutto.
Dovunque sciami di umanità non bella, non raffinata, non “perduta” come nella tradizione europea. Grappoli di ragazze fasciatissime appese agli sgabelli dei bar o sciamanti nelle hall d’albergo, con intenti prevedibili. Loschi portoricani procacciatori, obese famiglie arabe che traslano compatte da un casinò all’altro, curiosi con fotocamere ultracompatte che fotografano tutto. Gazebo che nebulizzano nuvolette d’acqua tutto intorno come sollievo alla calura, ciclopici pannelli luminosi che reclamizzano concerti in loco di tutte le star che avete visto in un anno di rotocalchi.
Istinto di fuga. Ma se poi riuscite ad approdare da qualche parte e mollate la macchina, il luna park, anche socio-antropologico, vi potrebbe prendere anche molto. Un giro degli alberghi più di grido del centro è una istruttiva e seducente discesa agli inferi che dovete concedervi.
Poichè i casinò non sono strutture a parte, ma risiedono negli alberghi stessi, voi entrerete in una malabolgia in cui, perso l’orientamento, trascorrerete fra intermittenti banchi di lapdancers (mio figlio bambino guardava con occhi sgranati, mano stretta nella mia, al galoppo in cerca di alloggio), batterie industriali di slot-machines, receptions chilometriche, ragazze sandwich scosciate a dispensare volantini; la musica di 100 diverse fonti contemporanee a tutto volume, a formare un unico muggito metafisico.
Potrete visitare Venezia senza esserci mai stati, ammirando fin dalla strada il campanile di San Marco e il Ponte di Rialto, sfiorati da ammiccanti gondolieri che scivolano per canali; potrete salire sulla Tour Eiffel, poco più bassa dell’originale; potrete – e qui mi fermo – immergervi nella Roma Imperiale del celeberrimo Caesars Palace, e passeggiare per lastricate strade romane con tanto di botteghe – griffate Prada, Armani e compagni, che credevate? – farvi fotografare abbracciati sotto una o tutte delle numerose fontane marmoree con gruppi equestri o mitologici, come quella raffigurata nella mia polaroid. Il cielo sopra di voi trascolorerà dal roseo del primo mattino al giallo accecante della controra al violetto di un tramonto struggente. Avete perso anche la percezione del giorno e della notte, dell’interno e dell’esterno.
Dove siete?
Mario Conti
15-7-11, WILLIAMS (Arizona): OMAGGIO AL CRUISER’S CAFE
Tra gli elementi che concorrono al fascino della Route 66 c’è ovviamente quel senso di tempo sospeso, di abbandono da parte del Sovrano. Il silenzio alla fine del rombo. La sonnacchiosa attesa di non si sa bene cosa. Molti dei centri che attraversiamo portano questo segno.
Poi ogni tanto si sfocia in un posto – città, paese, borgo – che invece issa le insegne della reazione all’abbandono, del cambio di passo. Cavalcare il Culto. Il viaggiatore si sofferma inebriato, divertito; e realizza che il limbo finirà, che sul monumento al VINTAGE che la 66 è – in sommo grado! – il concorso di tante energie sparse sta riaccendendo riflettori.
WILLIAMS è uno di quei posti, te ne accorgi subito. Poco più che il corso principale che l’attraversa; ma dove tutto è una scenografia irresistibile. E al centro di tutto il CRUISER’S CAFE. Luogo multiuso: bar, ristorante/diner, emporio di gadget a tema. C’è un “fuori”, dove un cantante chitarrista in cappello a larghe falde fa la colonna sonora sotto la pensilina della ex stazione di servizio, sormontata da una scintillante auto rossa; e c’è un “dentro” incastonato di cimeli, pavimento a quadroni bianchi e neri. E poi c’è la Restroom, obbligatoria.
Disinibita quella delle signore, velata da tendine; macho quella degli uomini, dove il paravento al vespasiano è uno sportello d’auto, e John Wayne autografato presenzia alla cerimonia per cui si è lì.
La vita riserva queste piccole delizie.
Mario Conti
14-7-11, GRAND CANYON (Arizona): HERMITS REST
Prima ancora di arrivare in prossimità del Parco Nazionale, va fatta la scelta del VERSANTE in cui stare (nord o sud); i due sono separati dall’abisso del fiume Colorado e non raggiungibili l’uno dall’altro. Noi abbiamo scelto quello sud (SOUTH RIM), che ha l’aria di essere il più ricco e attrezzato; va però detto che in quello nord esiste una passerella di vetro che taglia un’ansa del canyon regalando l’emozione di percorrerlo nel vuoto.
Non volendo sfidare la profusione di immagini struggenti prodotte sul GRAND CANYON, vi mostro l’interno di un suggestivo rifugio storico, l’ HERMITS REST, che è anche l’unico luogo di escursione (dunque lontano dai lodge) affacciato sul South Rim in cui è possibile rifocillarsi.
Nel programmare la sosta al Grand Canyon fate in modo di includere un’alba o un tramonto; qui sono rituali, e le mutazioni di luce e il gioco delle ombre tra le infinite creste sono fortemente raccomandabili.
Mario Conti
13-7-11, MONUMENT VALLEY (Nazione Navajo): OLEOGRAFIA SEMPREVERDE
La MONUMENT VALLEY, ad essere rigorosi, non è sulla 66. E – a mia domanda – Linus un mese fa mi scrisse di non mettere troppa carne al fuoco, la destinazione meritava altri pellegrinaggi.
Li merita, caro Linus, ora lo so. Ma ciò nonostante spezzo una lancia (Navajo) a favore della deviazione (“side trip”, dicono lì). Tutto sommato da Flagstaff (che può riservare una piacevole sosta serale; linda, movimentata, percorsa dall’allegria tipica delle basi di partenza per le spedizioni) ci vogliono non più di due ore e ½; e dalla Monument Valley è agevole raggiungere il Grand Canyon e, perchè no, Las Vegas; tornando poi sulla 66 a sole poche miglia da dove l’avevamo abbandonata.
Il giro poi può essere contenuto nella mezza giornata, a meno che non si voglia trattenersi la sera a guardare sotto le stelle, sul ciglio della valle, I Cavalieri del Nordovest di Ford, che proiettano ogni sera al lodge The View, che domina il paesaggio sottostante. All’interno della valle i Navajos (pronunciati Nàvajos) hanno cavalli con cui si possono fare bei giri, solo un po’ più cari che qui.
L’esperienza della Monument Valley sfida qualunque oleografia cinefila, anzi ne viene rafforzata.
12-7-11, CAMERON (Arizona): SUSPENDED BRIDGE
Quanti ponti paralleli si incontrano Sulla Route 66… In rari casi
attivi entrambi, ciascuno per un verso di percorrenza; ma il più delle
volte uno dei due, e sempre il piú bello, è dismesso.
E’ il caso di questo ponte di Cameron – intitolato al senatore locale che ne propiziò la costruzione nel 1919; molto scenografico, ma
chiuso al traffico che scorre parallelo poco oltre, su un anonimo
ponte moderno.
Mario Conti